Proposta Radicale 11/12 2023
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Bozzo

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Alla violenza fascista corrispose la violenza antifascista

di Gianni Baget Bozzo

Caro Pannella, leggendo l’intervento detto da te al 21° Congresso radicale mi sono ricordato di un avvocato comunista genovese, amico di famiglia. Era stato al confino, e lì aveva rischiato anche di peggio. Mi raccontava di essere andato interventista alla prima guerra mondiale, ma di non aver mai sparato un colpo di fucile. Quando ci fu l’occupazione tedesca, con la moglie, una donna di grande animo e con la figlia di due anni, dovette fuggire, nascondersi, rischiare ed esporre al rischio chi amava. La moglie mi disse che, quando seppe della morte di Mussolini, disse solo: “anch’egli era un uomo, un padre di famiglia”. Non credeva in Dio, ma era un vero cristiano. Ebbe funerali civili, pochi mi parvero più ecclesiali. Eppure era un comunista di sicura fede, che seguiva in tutto il partito. Non so cosa pensasse del rapporto Krusciov dell’invasione dell’Ungheria, perché non me ne parlò mai: e poi morì nel 1957.

Caro Pannella, non mi sento perciò di definirlo un radicale che si ignorava. Vi era in lui un momento grave che non è nell’immagine del radicale medio. Tuttavia la sua memoria mi dice che vi è qualcosa nella sinistra italiana, nelle radici della sinistra italiana, di corrispondente a quella che tu chiami la “centralità radicale”. Vi è una dimensione di volontà di pace, di non-violenza, di rispetto dell’uomo e della vita, un socialismo diffuso che ricorda Bakunin, Dostoyevsky, Tolstoi.

Alla sorgente, vi è un filone cristiano minoritario che va dai francescani ai quaccheri, ai pietisti, un filone sempre esorcizzato e sempre rinascente, sempre rigettato dalle chiese istituzionali cattoliche, ortodosse, protestanti, mai soppresso. Per trovare l’ascendenza di questo spirito, bisognerebbe fare la storia del cristianesimo minoritario, pacifista, non violento, contrario al servizio militare, da Montano in giù. Penso che ora questo seme stia maturando. In Italia ha già dato un frutto maturo, oggi forse dimenticato, Ignazio Silone. E credo che qualcosa di questo avesse afferrato anche Pier Paolo Pasolini, qualcosa ne sia passato per il suo Vangelo secondo Matteo.

Non voglio ora proiettare i panni dei quaccheri o dei frati di Francesco su coloro che ti applaudono e ti votano. Mi domando se è il tuo messaggio profondo che applaudono o la vis polemica con cui lo dici. Del resto, le vie dello spirito si possono scavare il letto anche nella stessa invettiva. Vengo ora al tuo discorso via Rasella. Vi fu in quell’epoca qualche cristiano, che aveva dei dubbi sul partecipare alla Resistenza: e dei dubbi che nascevano proprio dalla domanda “quacchera” se fosse lecito uccidere. Fu di una minoranza. Mi ricordo che un problema discusso, specie tra il clero, tra il ‘42 ed il ‘43 (prima del 25 luglio) era se fosse lecito uccidere il tiranno: e gli antifascisti erano per il sì. Voglio dire: le posizioni non-violente erano praticamente inesistenti là dove pure il Vangelo era letto, ogni giorno, se non altro nella liturgia. Dopo vent’anni di fascismo, dove vuoi che potessero esistere, in Italia, dei non-violenti? Ora so, che invece sorsero in Germania, addirittura in Baviera, con il movimento della Rosa Bianca. Ma, anche lì, furono una minoranza. La “main line” di tutte le chiese era l’appoggio allo Stato, o in quanto voluto da Dio (protestanti) o in quanto fondato sulla legge naturale (cattolici). A questo punto, era inevitabile che alla violenza fascista corrispondesse la violenza antifascista. Come dice Manzoni nell‘Adelchi: “i padri hanno seminato con il sangue; ed ora la terra altri frutti non dà”.

 

Dubito sia lecito condannare chi fece l’attentato

Per questo dubito sia lecito condannare chi, nel ‘44, fece l’attentato. Era ben probabile che ciò gli apparisse un dovere di coscienza, come appariva un dovere di coscienza di tedeschi la rappresaglia sulle popolazioni inermi, o agli anglo-americani bombardare le città, sino all’olocausto (letterale) di Hiroshima. Fu solo a questo punto estremo (e “dopo”) che la coscienza del pilota di Hiroshima scattò. Veniamo da una storia di violenza, come pronunciare dei giudizi su di essa, a partire da una coscienza non-violenta che allora non esisteva? I comunisti erano stati educati in una prospettiva ed in una disciplina di lotta, che comportava il dovere di una difesa con tutti i mezzi. Potevano scegliere diversamente allora?

Per questo ritengo che tu abbia, in questo modo, provocato i comunisti. Uso provocazione in senso anche non negativo, ma con il rischio che essi pronunciassero con passione la tua scomunica per lesa Resistenza. Può essere che ciò serva a loro per porre il problema della non-violenza, ma forse di questo non vi è specifico bisogno. Credo che la causa della non-violenza sia una causa matura, e che tu abbia fatto molto, in Italia, per farla maturare, là dove è il suo luogo giusto, cioè la coscienza degli uomini. Io credo che tu non debba rivolgerti principalmente ai partiti, ma ai cittadini, da buon vecchio liberale e da quello di diverso che sei ora diventato, per le tue capacità di messaggio e di guida. In questo ti rivolgi anche ai credenti, ma è meglio che tu non ti rivolga a loro esplicitamente con il loro nome e con il loro titolo. È al loro cuore che si deve parlare, come giustamente fa il papa, che sembra conoscerli bene. Quello che è giusto, e mi pare molto bello, del tuo discorso, è che tratti gli avversari come uomini, come amici, proprio là dove la divisione sulla violenza è massima.

La parola di dissenso, per forte che sia, deve suonare sempre amichevole. E non ipocritamente, nell’esercizio di una banale retorica mistificante, bensì in funzione di un progetto alternativo, di una diversa umanità, posto non come fine differito, ma come possibilità attuale, come compito immediato. Inventare un metodo civile fondato sulla non-violenza, significa proporre una morale diversa, una politica diversa, un diritto diverso, uno Stato diverso. Io credo che nel nostro paese maturi questa possibilità di invenzione, dò il merito ai radicali di far sembrare più attuale questa mia convinzione, che ha più di vent’anni e che condividevo con un non-violento di qualità, Felice Baldo.

Nel tuo discorso vi sono altre cose, ma è talmente “discorso” costruito sul filo della coralità, ricco di divagazioni che qualificano ii tema della centralità radicale definendolo con il loro stesso approccio ai diversi problemi, da non consentirmi un intervento più determinato e “ad rem”. Con amicizia.

iMagz